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Blade Runner 2049

2017

Ok, fatto, l’abbiamo visto e versato l’obolo all’industria cinematografica. Trentacinque anni di tempo per scrivere una trama avvincente e qualche dialogo originale non sembrano essere abbastanza. Non che l’idea di base (replicanti in grado di riprodursi) sia priva di meriti, o che gli incredibili effetti speciali non lascino a bocca aperta… Ma i personaggi non coinvolgono, non hanno un briciolo di quell’epicità che contraddistingue gli originali.

Prendiamo i cattivi: Niander Wallace, il nuovo Eldon Tyrell, nonostante la cecità e l’inutile sadismo, non comunica il brivido associato a una mente superiore che si diverte a giocare a fare Dio. Lo stesso va detto per Luv, un po’ Rachel un po’ Roy, che nonostante lo stile di combattimento alla Bruce Lee non riesce a terminare per ben due volte il Blade Runner. Pensate che il buon Leon, magari meno orientaleggiante ma di sicuro in grado di uccidere un uomo a pugni, si sarebbe fatto scappare l’occasione? (“Wake up, it’s time to die”).

La narrazione è chiara ma il rapporto causa-effetto dell’intreccio non è ben spiegato: ho trovato il DNA del bambino, vado all’orfanotrofio. Oh, un cavallo di legno radiottivo, non può che essere a Las Vegas. Oh, stanno spostando un uomo chiave per il super ricco e super cattivo Wallace, chissà perché lo scortano solo altre due piccole navicelle… Saranno i tagli al bilancio?

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Durata eccessiva (quasi tre ore), per il contenuto comunicato: eliminando inutili scene di violenza e nudo (a quanto pare incrementano ancora le vendite) si poteva certo lavorare meglio sull’intreccio. Va detto però che è il film ideale per i Millennials, in quanto incentrato su un ragazzo che crescendo scopre di non essere né speciale né importante.

Altre cose divertenti: una stanchissima Robin Wright, caduta in disgrazia, da First Lady a semplice ufficiale di polizia; Ryan Gosling che per buona parte del film ha quell’espressione d’incredulità, ancora sconvolto dall’essere stato catapultato dal Mickey Mouse Club al sequel noir più atteso della storia del cinema.

Le ambientazioni sono incredibili
Le ambientazioni sono incredibili

Poi ci sono anche cose belle: la musica, ad esempio, ma unicamente le parti prese dal precedente film; e le ambientazioni, quelle sì che sono ricercatissime: il casino di Deckard, la cupola della fabbricante di sogni, gli effetti di luce del palazzo di Wallace, la fidanzata di K (ok chiamarla ambientazione è forse eccessivo)… Dubbia la location della fornace, dedica prossima al plagio di Dal profondo della notte. Aggiungo che mi farei volentieri dieci minuti di volo tra gli immensi grattacieli della Los Angeles del 2049 (ma è  un film neo-noir o neo-barocco?). Infine, sarà perché legato al mio immaginario di bambino, la recitazione di Harrison Ford è sempre “una spanna sopra gli altri”.

Harrison Ford in una scena di Blade Runner 2049
Harrison Ford in una scena di Blade Runner 2049

Conclusione: il massimo che si può sperare al giorno d’oggi da questi sequel/remake è che aggiungano più dettagli, senza stravolgere eccessivamente la storia che tentano vanamente di copiare (Roy muore sotto la pioggia, facciamo morire K sotto la neve. Un cambio di paradigma incredibile!). Sarò snob, vecchio stile, noioso: meno budget voleva dire più spazio alla recitazione e ai dialoghi. L’unico che sembra farcela ancora è Christopher Nolan.

La cosa triste, a sottolineare l’inferiorità dei biologici rispetto agli androidi, è che quando faranno il prossimo film, sarò in coda a fare il biglietto.