Università: Cose dell’Altro Mondo

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Oggi, appena conclusa la sessione di esami di settembre, mi piacerebbe scrivere qualche riga sull’università italiana, in particolare sul Politecnico di Milano, dove ho studiato per la laurea triennale, e sull’Università degli Studi di Trento, che ho frequentato durante il primo anno di doppia laurea nell’ambito del progetto Eumi (European Master in Informatics). La motivazione alla base di un simile racconto è quella di dare consigli utili ai futuri studenti che volessero iscriversi a una di queste università, nonchè offrire spunti di riflessione sulle numerose problematiche relative al mondo accademico del nostro paese. Vorrei potervi descrivere i professori del posto, l’organizzazione, gli aspetti positivi e quelli negativi e così via. I miei avvocati hanno però consigliato prudenza, suggerendo di non citare i nomi degli interessati o i corsi che insegnano. Siccome questo limiterebbe non poco l’utilità del racconto, ho deciso di cambiare completamente argomento.

Vi parlerò delle Università di Trnt, ricca cittadina di montagna, e di quella di Mln, operosa metropoli interplanetaria, situate nel remoto pianeta Arret e più precisamente nella nazione di Ai-lati. In questo paese vigono regole ferree per quanto riguarda la scelta del nome di una persona: esso è composto sempre da sei lettere, le prime tre sono l’equivalente del nostro nome di battesimo, mentre le rimanenti sono quelle del cognome. Per ragioni culturali, di conseguenza, anche i corsi dell’università sono spesso indicati con delle sigle; ad esempio, il corso di Scienze delle Merendine si chiama SDM e così via. Fanno eccezione quelli definiti da una sola parola, come Elettrotecnica.

Su Arret esistono, come un po’ ovunque nella Via Lattea, i professori universitari. A seguito dell’evoluzione biologica del pianeta, essi si sono divisi in tre specie che descriverò brevemente:

ProfessorCazzoni (PC): sebbene percepiscano il 95% del loro stipendio dalle rette pagate dagli studenti, fanno di tutto tranne i professori. Sono troppo importanti per buttar via tempo a insegnare quattro concetti base ad una manica di giovanotti svogliati, e si dedicano, o credono di dedicarsi, alla ricerca (da cui proviene il rimanente 5% dei loro introiti). Organizzano Workshop, scrivono Papers, gesticono Meetings, tutti assolutamente inutili o insignificanti dal punto di vista intellettuale ma considerevoli nelle voci di bilancio dell’università (che è in genere di proprietà statale, quindi pagata con le tasse dai pochi, instancabili e onesti contribuenti di Ai-lati). Tratti caratteristici di questa specie sono il tempo di risposta ad una mail di uno studente (tra un mese e più infinito), il tempo di attesa per un colloquio (dalle 3 ore ai 2 giorni) e la puntualità a lezione (+/- 30 minuti: se un PC arriva mezz’ora prima in aula, comincia la lezione ugualmente così da stare meno tempo possibile in presenza degli abietti studenti).

Un PC dà il meglio della propria creatività durante la sessione di esame. Accortosi alle 10, grazie ad una telefonata del suo assistente, di dover presenziare un esame alle 8 dello stesso giorno, si incammina pigramente verso il luogo designato scarabocchiando, tra il viaggio in ascensore e l’immancabile sosta alla macchinetta del caffè, qualche esercizio su un foglio di carta. Giunto in aula, salva, con la mitica aura di potere che lo circonda, il suo assistente dal linciaggio, richiama con voce inflessibile i pochi studenti che osano protestare per il lieve ritardo (“Due ore e mezza rispetto all’intero anno accademico sono trascurabili”) e assicura che in dieci minuti si comincerà (“Datemi solo il tempo di fare le fotocopie della prova”). Ovviamente, visto l’accuratezza con cui l’esame è stato preparato, questo conterrà non meno di tre o quattro errori di concetto che vengono a turno scoperti dagli studenti più meritevoli. La reazione tipica a queste segnalazioni è un agghiacciante “Se non ha studiato non è colpa mia” oppure “E’ proprio sicuro di quello che dice?”. Poi, quando il numero di pellegrinaggi alla cattedra aumenta, il PC si degna di dare un’occhiata al testo da lui scritto e si accorge della presenza di qualche errorino (come velocità di un grave maggiore di quella della luce, puntatori di array che superano la lunghezza stessa dell’array e così via). Allora, con scaltrezza da imbonitore, segnala la cosa come una sua personale scoperta e conforta gli studenti, quei pochi che non hanno ancora abbandonato l’aula, regalando loro una mezz’ora in più per svolgere il compito.

Università: Cose Dell'Altro Mondo - Immagine che un PC ha di se stesso (sinistra) e imma-gine che il Ministro dell'Economia ha di un PC (destra)Immagine che un PC ha di se stesso (sinistra) e imma-
gine che il Ministro dell’Economia ha di un PC (destra)

Nel caso in cui l’esame sia orale tanto meglio: raramente un PC si ricorderà i contenuti del corso sul quale deve interrogare e tantomeno gli sovverranno i termini usati nelle slide che ovviamente non ha scritto e neanche letto. Quindi porrà delle domande pescate casualmente tra quelle che affollano la sua capace mente e all’espressione stupita del candidato risponderà con un paterno: “Le sto chiedendo proprio cose elementari” (però magari relative a un’altra materia). Alla lunga simili atteggiamenti possono portare a qualche protesta che potrebbe raggiungere le orecchie del Magnifico Rettore, munifico dispensatore di ricchezze, e quindi, in funzione del potere e del prestigio che lo distinguono, un PC può anche cambiare tattica: “prepara” (si fa per dire) esami abbastanza facili da passare, ma quasi impossibili da superare a pieni voti (bisognerebbe fare troppe domande per valutare se uno è davvero preparato, quindi tanto vale partire dall’assunto che nessuno lo sia). Per la ben nota Legge di Inerzia, ad esame passato non si guarda in bocca, specie se chi lo tiene è un PC, e anche ai più secchioni poco importa, in simili frangenti, di prendere 26 invece di 30.

ProfessorMinimo (PM): come suggerisce il nome, fanno il minimo indispensabile per non doversi vergognare guardandosi allo specchio: forniscono slide di qualità mediocre ma non pessima, tengono lezioni mediamente puntuali anche se senza particolare convincimento e l’esame in genere verte, per buona parte, sugli argomenti spiegati a lezione. Quando in presenza di un PC producono un speciale enzima che li fa rifulgere di una luce particolare. Spesso prendono di mira gli appartenenti all’altro specie, quasi a sottolineare la loro diversità e superiorità, e commentano sarcastici la disorganizzazione altrui. Rappresentano lo standard minimo che dovrebbe venire accettato in una Università degna di questo nome.

ProfessorProfessional (PP): quest’ultima razza è forse la meno rappresentata, perchè, col passare del tempo, a causa di colleghi appartenenti a specie diverse, di studenti poco stimolanti o decreti ministeriali bizzarri, i biologi hanno notato una spontanea mutazione da PP a PM o addirittura PC. In genere sono professori a contratto a cui piace insegnare ma, grazie a un’ottima organizzazione del loro tempo, fanno della Ricerca di buona qualità, riuscendo così a sopperire al basso stipendio. Hanno slide complete, interessanti e chiare, sono disponibili a colloqui di chiarimento, descrivono in dettaglio il programma del corso, fissano le date dell’esame all’inizio e ne enunciano le modalità con precisione. Non sopportano, a ragione, gli studenti perditempo ma aiutano volentieri quelli in difficoltà e conoscono il nome, o per lo meno il viso, di tutti coloro che frequentano i loro corsi.

Detto questo posso passare a descrivere in dettaglio i professori e i relativi corsi che un eventuale studente di laurea specialistica (o magistrale) di informatica potrebbe trovarsi ad affrontare qualora decidesse di fare il suo Erasmus nel paese di Ai-Lati, sia nella caotica Mln che nell’organizzata Trnt. Per rendere più facile la comprensione del testo si è deciso di tradurre i riferimenti culturali in modo che siano comprensibili ai terrestri meno avvezzi al sistema di valori Ai-latiano. Il lettore non ha che da scegliere in quale ateneo inoltrarsi, scegliendo tra i seguenti link:

Quanto descritto nei link, adeguatamente adattato al nostro piccolo Pianeta Azzurro, ci permette di individuare le principali problematiche del mondo universitario e proporre alcuni possibili rimedi: l’arcaico dualismo ricerca-docenza rovina i bravi ricercatori, obbligandoli a fare anche da insegnanti, lavoro per il quale non sono proprio portati, e al tempo stesso soffoca la carriera dei bravi docenti che, non occupandosi principalmente di ricerca, rimangono perennemente professori a contratto. Questa incongruenza si ripercuote sugli studenti che potrebbero avere un servizio migliore, imparare più cose e quindi essere più produttivi e utili per il Paese, nonché ricevere il supporto didattico per il quale elargiscono munifiche rette. Sembra quasi che l’unico servizio offerto da molte università sia il diritto a sostenere esami e ricevere infine un pezzo di carta che, in base alla qualità dell’Ateneo e del percorso di studi scelto, certifichi l’intelligenza e le capacità dello studente.

L’altra faccia della medaglia sono gli studenti svogliati, disinteressati e imbonitori che sfruttano ogni possibile cavillo, impietosendo professori e assistenti, per liberarsi degli esami. Un simile atteggiamento è generato sicuramente da problemi pregressi ma anche dalla situazione attuale dell’università: professori come Rafdea, Stebar o Stemor non invogliano certo a prendere l’università sul serio. Alla luce di queste considerazioni non stupisce affatto l’aumento di disoccupazione dei neolaureati: la maggior parte degli studenti sceglie facoltà fuffa e anche in quelle un tempo impenetrabili come Ingegneria, Medicina e Giurisprudenza, si nota un aumento notevole dei laureati, probabile indice di un abbassamento dei livelli di conoscenza richiesti. Quanto detto può suonare quasi reazionario, ma un conto è dare a tutti la possibilità di studiare, un altro è dare a tutti la possibilità di laurearsi, cosa che svuota di ogni valore la Pergamena e non fa che ritardare l’ingresso degli studenti nel mondo del lavoro, deludendone per altro le aspettative (“Ma come, sono laureato e vado a lavorare da McDonald’s?”).

Scioccato da quanto raccontato, il lettore potrebbe infine domandarsi se esistano soluzioni a questi immensi problemi. Forse no, ma è sicuramente possibile migliorare almeno in parte la situazione, ispirandoci ai migliori professori e alle università straniere che hanno sempre qualcosa da insegnare. Ad esempio: ci sono persone che sicuramente necessitano più tempo per apprendere le nozioni richieste in un certo corso, ma bisogna togliere a questi la possibilità di sostenere a oltranza un esame fino al raggiungimento del tanto desiderato diciotto. In Germania, per ovviare a questo problema, lo studente ha solo tre (tre!) possibilità, in tutto il suo periodo di apprendimento, per sostenere un esame, dopodichè il rischio è quello di essere espulsi dal corso di studi. Qualcuno potrebbe giudicare un simile atteggiamento troppo selettivo (si può discutere sullo spostare il limite a cinque tentativi) ma ricordiamo, per chi fosse stato assente, che la Germania, nonostante sia stata divisa a metà per quarantanni e abbia perso due guerre mondiali, è ancora la potenza economica più trainante d’Europa. Probabilmente è anche merito del sistema di formazione. Bisogna solo capire cosa vuole essere l’Università Italiana: una fabbrica di mamme felici, feste di laurea e futuri disoccupati o un centro di Formazione di qualità, competitivo, in grado di sfornare professionisti competenti e utili alla società?

Università: Cose Dell'Altro Mondo - Dilemma dell'impiego post-laureaDilemma dell’impiego post-laurea

Ridata la giusta dignità al sostenimento di un appello d’esame, il problema successivo è il modo in cui è strutturata la prova: in genere si viene bocciati perchè il professore chiede cose non spiegate, propone esercizi assurdi o fuori standard. Questo non deve più accadere: una volta fissati gli obiettivi didattici, deve esserci una domanda per ognuno di questi; solo così si evitano i colpi di fortuna (“Mi ha chiesto gli unici due capitoli che avevo studiato”) o le scalogne estreme (“Mi ha chiesto gli unici due capitoli che NON avevo studiato”). Allo stesso modo il programma del corso deve essere finalizzato, soprattutto nel triennio, all’insegnamento di concetti generali e utili, il più possibile distaccati da problematiche filosofiche e metafisiche, che rischiano di essere banalizzate o non comprese. Mi riferisco, ad esempio, al corso di Analisi 1, Fisica e Analisi 2 per Ingegneria. Che senso ha, con il poco tempo a disposizione, obbligare gli studenti a imparare a memoria, senza alcuna comprensione, tonnellate di teoremi che verranno dimenticati il giorno successivo alla prova, e magari non insistere con esercizi di consolidamento su integrali e trasformate, nozioni che verranno utilizzate in tutti i corsi successivi? Certo, per un professore può risultare noioso insegnare “a far di conto” ma questo è certamente il primo passo per comprendere, in una fase successiva, le problematiche più concettuali.

Troppo spesso, poi, capita che il medesimo corso, tenuto da diversi professori, abbia un numero sproporzionato di promossi o bocciati. La prova deve essere la stessa per tutti e controllata usando standard di correzione comuni o in modo collegiale, come già accade nei Dipartimenti più attenti alla didattica di Mln. Il rischio, altrimenti, è che vengano meno i presupposti di uguaglianza tra i corsi e sul Supplemento alla Laurea sarebbe più corretto scrivere “Analisi 1: 30 con Flodal oppure “Analisi 1: 18 con Stemor. Quanto detto ci porta inevitabilmente all’annoso problema dell’assegnamento dei crediti universitari corrispondenti a ogni esame superato: difficile stimare il carico di studio necessario all’apprendimento dei concetti di un certo corso, soprattutto perchè questo dipende, in genere, sia dal professore che dallo studente. Una soluzione potrebbe essere l’approccio statistico, misurare il tempo medio che uno studente necessita per passare l’esame e il voto medio ottenuto, anche se sarebbe poi complicato adattare tale numero al requisito di sessanta crediti in un anno. In ogni caso, una volta garantita una buona didattica, questa diventa una problematica marginale e, a tratti, arbitraria.

Ma come assicurare che un professore faccia il suo dovere di bravo docente? Innanzitutto sarebbe necessario separare le carriere: è impensabile che uno studente desideroso di insegnare debba attraversare anni e anni di dottorato, piegarsi alle proposte più assurde del suo coordinatore, per poi vedersi scavalcato da colleghi più zelanti nella ricerca. Allo stesso modo, uno studente che voglia mettere alla prova le sue capacità di ricercatore non deve essere obbligato a fare il docente perchè il rischio è quello di rovinare intere generazioni di allievi.

Un professore entusiasta della sua materia è ben consapevole del supporto alla didattica di qualità offerto dalla Rivoluzione Tecnologica di questi anni: basterebbe, per ogni corso, registrare una lezione ben fatta, una volta per tutte, e poi pubblicare il relativo video e materiale che diventano così patrimonio dell’Università. Lo studente si scarica il video, lo guarda, e usa le lezioni per fare domande sugli argomenti che non ha capito, rendendo la comunicazione molto più rapida e personalizzata. Siccome la realtà è diventata molto più complessa di quanto non fosse cinquantanni fa, i dubbi possono anche essere segnalati tramite email, forum e messaggi così da dare il tempo al professore di cercare una risposta adeguata (è questo il caso di corsi che trattano tematiche allo stato dell’arte). Quanto illustrato accade già a livello di Università in America, Francia e Germania, nonchè in qualunque corso privato un minimo professionale. In Italia, il tutto viene lasciato all’iniziativa del singolo, che presto, circondato da colleghi svogliati, si arrende o lascia il lavoro a metà.

La tecnologia viene in aiuto anche per la questione dei giudizi sui professori: una piattaforma informatica d’ateneo ben fatta deve assicurare che uno studente non possa vedere il voto ottenuto in un esame senza aver prima espresso la sua opinione sul docente, sul corso e sugli argomenti spiegati. Usando metodi statistici, pesando i giudizi in base al profitto degli studenti e guardando il numero di promossi e bocciati al fine di evitare brogli o taciti accordi, diventa abbastanza semplice individuare i professori più scadenti, richiamarli e, se è il caso, tagliargli i finanziamenti per nuovi computer, worshop al Lago di Garda e simili. Stessa cosa per i corsi: se uno studente con una media del trenta e uno con la media del diciotto trovano un corso rispettivamente troppo facile o troppo difficile la cosa è poco rilevante, mentre il parere assume un certo peso se proviene da studenti con medie tra ventiquattro e ventotto.

Altro aspetto fondamentale sul quale insistere sono i controlli da portare a termine durante la prova d’esame: bigliettini, appunti, sostituzione di persona non possono essere permessi in una università seria. Al riguardo esistono di sicuro regolamentì e prassi da seguire (come ad esempio l’obbligo di controllare l’identità del candidato, verifica apparentemente scontata ma che raramente viene eseguita). Molti professori, purtroppo, per pigrizia, disinteresse o dimenticanza, ignorano queste regole, permettendo anche ai più furbi e meno preparati di passare gli esami. Si dirà che un simile atteggiamento è propedeutico al mondo del lavoro, dove il più forte e il più astuto hanno la meglio, però chi scrive ha la speranza (o l’illusione) che l’università sia qualcosa di diverso: l’unico bene prezioso dovrebbe essere la Conoscenza, per ricevere la quale, famiglie e studenti investono una non indifferente quantità di denaro e tempo. Infine è ovvio che i più esperti e smaliziati riusciranno a trovare modi sempre più raffinati di eludere i controlli, ma assicurare un minimo di rigore è anche un segno di rispetto nei confronti dei più onesti.

Trasformando quello che voleva essere uno scritto divertente in una serie di riflessioni abbastanza noiose, sono state illustrate alcune proposte per il miglioramento dell’università. Non si tratta di richieste fantascientifiche, ma solo di considerazioni basate sul buon senso, di idee in parte attuate, qua e là, in qualche ateneo più all’avanguardia o timidamente proposte dai docenti più volenterosi. Stupisce però la completa assenza di un vivo dibattito al riguardo, la mancanza di leggi, regolamenti e proposte istituzionali che spingano al rinnovamento; intristisce il silenzio delle associazioni studentesche e dei professori, troppo impegnati a protestare incondizionatamente contro i decurtamenti alla ricerca per domandarsi dove potrebbe essere utile tagliare e dove invece bisognerebbe investire.

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