Ungheria, Magyarország

Ungheria, Magyarország

Fino a qualche anno fa, l'Ungheria era per me un paese dai confini non ben definiti, situato da qualche parte nell'Europa dell'est. Le fugaci apparizioni nei libri di storia di questa nazione, quasi sempre affiancata, come un aggettivo di poca importanza, al ben più potente impero austriaco, mi sembravano sempre lontane e mai particolarmente rilevanti. Avevo letto di Attila, dell'insurrezione del 1848, del regime dell'ammiraglio Horty, di Giorgio Perlasca e della Rivoluzione Ungherese del 1956. L'idea che ricevevo da tutto questo andirivieni di dittatori e rivoluzioni era quella di un popolo forte e fiero, destinato però a passare da un dominatore all'altro.

Ungheria, Racconto di Viaggio, Carta Politica
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Raluca, un'amica rumena conosciuta a Bonn, fu la prima a parlarmi di questo paese, elencandomi scrupolosamente tutti i fastidi che le minoranze ungheresi causavano ai rumeni nelle zone di confine e in Transilvania. Abituato a discussioni tra ladini e trentini, tirolesi e italiani, bavaresi e tedeschi, non prestai molta attenzione a questa problematica che catalogai subito come un'altra manifestazione dell'imbecillità del nazionalismo. Potevo immaginare i tentativi dei rumeni di limitare l'identità ungherese, e gli ungheresi cercare qualunque pretesto per ostentare la loro diversità. Come scoprirò in seguito, la faccenda è parecchio più complessa.

Màtyàs-templom, BudapestMàtyàs-templom, Budapest

Il primo contatto diretto con un ungherese l'ho avuto a poche ore dal mio arrivo a Linz, cittadina austriaca nella quale ho passato un anno come studente Erasmus: svegliatomi alle quattro di mattina per poter prendere l'aereo, dopo aver sostenuto il giorno prima un esame di elettronica in Italia, mi dirigo a testa alta verso l'aula dove si sarebbe tenuto il corso di tedesco avanzato. Entrando, domando timidamente a un ragazzo dall'espressione sveglia se quella sia l'aula del corso di tedesco: Is this the German class?. La risposta, tagliente, non si fa attendere: Yes, but it's the advanced course (come a dire: Se parli in inglese sei di sicuro nel posto sbagliato). Péter, questo il nome del giovane, è originario di Budapest, e parla fluentemente quattro lingue. Nonostante una prima impressione non proprio positiva diventeremo molto amici nei mesi successivi.

Nella nostra classe c'è anche un altro ungherese, Gergely, i cui genitori appartengono alla minoranza magiara residente in Romania di cui si parlava poco sopra. In seguito ai miei tentativi di abbozzare qualche frase in rumeno mi spiega fieramente che lui non parla questa lingua, come non la parlano i suoi genitori.

La Piazza Centrale di DebrecenLa Piazza Centrale di Debrecen

Risposte simili le otterrò da tutti gli altri ungheresi residenti nei paesi confinanti con la madrepatria: Rita, dalla Serbia, lamenta il fatto di essere stata obbligata a imparare il serbo (in ogni caso non lo parlo bene). A niente valgono i miei tentativi di confortarla ricordandole che conosce comunque una lingua in più (ma il serbo è una lingua tremenda!). Laci (si legge 'Lozi'), anche lui rumeno, si domanda perchè mai dovrebbe imparare una lingua straniera quando appena ottant'anni prima in quella stessa zona si parlava ungherese. Josi, dalla Slovacchia, si rifiuta di parlare in slovacco con i suoi connazionali (L'ho imparato a scuola ma non lo ricordo più), ma non ha problemi a parlarlo con me.

Le colline della regione Tokaj-Hegyaljada cui proviene il rinomato vino TokajiLe colline della regione Tokaj-Hegyalja
da cui proviene il rinomato vino Tokaji

Questo esasperato nazionalismo, che ritroverò, con sfumature diverse, in tutti gli amici magiari, è originato dalla spartizione dei territori ungheresi in seguito alla sconfitta subita nella prima guerra mondiale e ratificata con il Trattato di Trianon. Scopro cosí, osservando la cartina raffigurante l'estensione territoriale ungherese prima del 1920, fieramente appesa al centro della stanza di Laci, che l'Ungheria perse circa il 70% dei suoi territori e 3 milioni di ungheresi si trovarono separati dalla madrepatria. Questa problematica è ancora fortemente sentita, anche tra i più giovani, a quasi un secolo di distanza.

La Chiesa Votiva di SzegedLa Chiesa Votiva di Szeged

Fortunatamente, a parte qualche rara eccezione, il forte attaccamento alla propria identità nazionale non ha impedito ai giovani ungheresi di stringere amicizie con i ragazzi provenienti dai paesi che si avvantaggiarono dei territori persi dall'Ungheria. Un altro Laci, di Debrecen, est dell'Ungheria, confessa stupito che prima di partire per l'Erasmus mai avrebbe immaginato di poter divertirsi cosí tanto in compagnia di slovacchi e serbi, arrivando a volte addirittura a prenderne le difese.

Come quella sera in cui, per festeggiare l'avvenuto ingresso nello spazio Schengen di Ungheria, Polonia, Repubblica ceca, Slovacchia, Lettonia, Estonia e Lituania, si era dato fondo alle riserve di Tokaij, rinomato vino magiaro. Andrea aveva appena finito di elogiarne le virtù quando un ungherese esclama: É un vino magiaro, dovrebbe essere come indemoniato per te che sei slovacca. Basterebbe la faccia della ragazza, tra lo stupito e l'incredulo, a mettere a tacere il ragazzo, ma si aggiungono anche i rimproveri e le occhiatacce degli altri ungheresi. Da ricordare come la Slovacchia fosse stata per anni inglobata nella sfera di influenza ungherese, tanto che Bratislava (Pozsony in magiaro), l'attuale capitale, era stata anche capitale del Regno d'Ungheria per quasi due secoli, ai tempi dell'invasione ottomana.

La città di SopronLa città di Sopron

Nei mesi successivi stringo amicizia con molti altri ungheresi (si potrebbe in certi casi parlare di adozione, visto l'elevato numero di serate passate in compagnia di soli ungheresi) e inizio ad abituarmi ai loro rituali: quando ci si incontra la prima volta in una giornata tra maschi ci si stringe la mano, anche se magari si è stati insieme fino alle quattro di mattina. Stessa cosa quando ci si lascia la sera. Le ragazze invece si salutano sempre con due baci sulle guance, sia che le si abbia appena conosciute, sia che siano amiche di vecchia data. Inutile dire che salutare un gruppo di ungheresi prima di andare a dormire può portar via dai cinque ai dieci minuti.

Altra tradizione, direi non tipicamente ungherese ma comune ai paesi dell'Europa dell'Est, èquella di usare, non appena si conosce un poco una persona, un nome familiare invece del nome ufficiale. Così un comunissimo Péter si trasforma in Péti, Csaba diventa Csabi, Rita è addolcito in Ritus e così via. Anche in Italia esiste qualcosa di simile (Alessandra diventa Ale) ma solitamente per nomi lunghi (raramente diremmo Lu al posto di Luca).

Un tramonto sul Lago balatonUn tramonto sul Lago balaton

Si sprecano infine le tradizioni sulla consumazione di alcolici: prima di bere, il bicchiere va sempre battuto sul tavolo per augurarsi fortuna; nel caso si faccia un brindisi con la birra tra ungheresi (o tra stranieri ormai accettati nel gruppo) ci si sfiora il mignolo anzichè far toccare i bicchieri. Questo per ricordare il fatto che, durante la fallita rivoluzione del 1848, mentre i capi dell'insurrezione venivano impiccati e fucilati, i generali dell'esercito austriaco bevevano birra brindando alla loro superiorità militare. Péter, con uno sguardo un po'imbarazzato, mi sussurra in un orecchio: Queste sono cose da burini, a Budapest non lo fa nessuno.

La mia prima visita in Ungheria avviene in seguito ad un invito di Berni, una ragazza molto dolce che, nel corso dei mesi passati in Austria, si è guadagnata tra gli ungheresi il soprannome di Mamma Berni, vista la sua estrema abilità nell'affrontare gli aspetti più pratici della sopravvivenza quotidiana (rammendare, cucinare, organizzare). A questa va aggiunta un'intelligenza sicuramente non comune, che le ha permesso di laurearsi in legge nella rinomata università di Budapest. L'idea è quella di partecipare al primo ritrovo post Erasmus e la località scelta per l'occasione è un piccolo cottage nel paesino di Iván, dove la famiglia di Berni vive.

Scontri di piazza nella rivolta del 1956Scontri di piazza nella rivolta del 1956

Mi incontro con Csabi (si legge Ciobi), originario di Szeged, Ungheria del Sud, alla stazione viennese di Wien Meidling. Da lì prendiamo un treno per Sopron, capoluogo della regione dove Berni vive. Il paesaggio che vedo scorrere dal finestrino è davvero suggestivo: un'enorme pianura si estende in tutte le direzioni, l'orizzonte sembra quello del disegno di un bambino, dove basta una linea retta per separare la terra dal cielo. Alla stazione ci attendono Laci, Berni e Lívia. La cosa che più mi colpisce della piazza cittadina è l'insistente presenza di bandiere ungheresi: dalle case, dai negozi, dai monumenti è tutto un brulicare di tricolori a bande orizzontali.

La Bandiera Ungherese con lo stemma ufficiale, riadottato nel 1990, dopo il periodo sovietico.La Bandiera Ungherese con lo stemma ufficiale,
riadottato nel 1990, dopo il periodo sovietico.

Csabi, quasi leggesse i miei pensieri, mi racconta che Sopron è nota in Ungheria come la città più fedele (A Leghűségesebb Város). Infatti, sebbene fosse stata destinata all'Austria dopo il trattato di Trianon, a causa dei numerosi disordini che seguirono a questa decisione, venne concesso nel 1921 un plebiscito nel quale la popolazione espresse il desiderio di rimanere parte dell'Ungheria (65% dei voti a favore). Il 14 Dicembre, data del referendum, è tutt'oggi festa cittadina.

Dopo i saluti di rito e qualche rapido aggiornamento sulle nostre vite, ci attende una mezzoretta di macchina per raggiungere la nostra meta. Rimango affascinato dall'ambiente campagnolo che mi circonda e che ai miei occhi di cittadino appare avvolto di un fascino atavico. Ci fermiamo verso la fine della strada principale che attraversa il paesino, nella quale si susseguono la caserma dei pompieri, un pub e una chiesa. A un primo sguardo, la casa appare molto accogliente e spaziosa con un bellissimo giardino sul retro e, poco distante, la zona fattoria (con anatre, galline e anche tre maiali).

La Piazza degli Eroi a BudapestLa Piazza degli Eroi a Budapest

Faccio subito conoscenza con la famiglia di Berni: il padre, che è anche sindaco del piccolo paese, è un simpatico signore baffuto, amante della buona cucina e del gioco degli scacchi. La moglie, che un tempo lavorava alle Poste Ungheresi, è, secondo la più classica tradizione contadina, una vera forza della natura. Nonostante la corporatura non certo massiccia, nei quattro giorni che sono stato suo ospite, l'ho vista cucinare almeno otte volte al giorno, risistemare la cucina, fare il bucato, occuparsi degli animali, raccogliere frutta e verdure dall'orto di casa e tutto questo sempre con il sorriso sulle labbra. Inoltre, ogni qualvolta uno degli ospiti passava per la cucina, lei riusciva a materializzarvisi chiedendo se desiderasse qualcosa da mangiare.

Una strada che attraversala campagna unghereseUna strada che attraversa
la campagna ungherese

Ci sono poi altri tre figli: uno già sposato, un'altro che gestisce il pub del paese e il terzo che manda avanti un'agenzia di caccia. In casa troneggiano infatti diversi animali impagliati e teschi di prede particolarmente importanti (in sala da pranzo è esposta la testa di un alce immensa). A parte Berni nessuno parla inglese o tedesco ma ciononostante ci si intende e la squisita ospitalità della famiglia non viene minimamente intaccata da questo problema linguistico.

Di conseguenza il mio scarso vocabolario ungherese si arricchisce di nuove parole: per invitare gli ospiti a mangiare con gusto il padre esclama spesso Egyetek! (mangiate!) oppure Igyatok! (bevete!). Il cibo è così buono che non posso fare a meno di imparare a complimentarmi: Nagyon finom! (è buono) o anche ízlik (ha un buon sapore). Durante una breve passeggiata osservo che gli abitanti si salutano sempre tra loro e devo quindi contraccambiare. Imparo presto a distinguere tra saluto formale (Csókolom" per gli adulti e specialmente per le signore, mentre Jó napot kívánok" per i signori) e informale (Szia" quando ci si rivolge a un solo ragazzo e Sziasztok" al plurale).

La birra Soproni, prodotta nella regione di SopronLa birra Soproni, prodotta nella regione di Sopron

La prima sera la passiamo al bar del paese. L'atmosfera è grande, nonostante non riesca a capire praticamente nulla di quello che viene detto. Circondato da campi sterminati, sommerso dal canto dei grilli, illuminato da una luna maestosa che si affaccia dal piatto orizzonte, il piccolo pub sembra essere l'unico luogo di conforto per gli esseri umani, spaventati da una natura che li ha da tempo rinnegati. Non si può fare a meno di pensare al ruolo fondamentale che questo posto ha giocato nella dinamica del paese. Gli odori, i suoni, i discorsi del passato sembrano risuonare e mischiarsi con quelli del presente.

Il locale è composto principalmente da due sale: la prima, quella di dimensioni maggiori, ospita due tavoli, qualche tavolino, una tv, una radio e il bancone del bar. La seconda, la sala giochi, contiene un tavolo da ping pong e i trofei di caccia della famiglia. Le persone ai tavoli, alcune impegnate in una partita a carte, altre in fitte conversazioni, salutano allegramente l'ingresso del sindaco e dei figli. Inutile dire che in un paesino di 1367 anime si conoscono tutti. Grazie alle traduzioni di Berni ricevo qualche dettaglio in più sugli abitanti del paese: quello che legge il giornale in un angolo fa parte del corpo dei pompieri del paese, quello al suo fianco ha lavorato come cacciatore per l'impresa del fratello e infine, quello con una strana smorfia che sembra paralizzargli la faccia, cadde in un pozzo all'età di undici anni. Da allora, visto il profondo shock mentale riportato in seguito alla caduta, è sempre stato accudito e aiutato dagli abitanti del paese. La serata trascorre tranquilla tra birra (Sor) e chiacchere.

Un campo di nomadi in un dipinto di Van GoghUn campo di nomadi in un dipinto di Van Gogh

La mattina dopo giungono nuovi ospiti ungheresi e anche stranieri. Nonostante il tempo trascorso nella casa non riesco ancora a capire quanti posti letto offra, ma li stimo intorno alla quindicina. Con Csabi e Laci decidiamo di fare un giro a piedi fino a una chiesina situata alla fine di un sentiero che parte proprio di fronte alla casa. Giunti sul posto in una ventina di minuti notiamo che alla sinistra dell'edificio religioso si dipana un nuovo sentiero. Questo si trasforma presto in una strada asfaltata nei pressi della quale sorgono alcune baracche e delle case dai muri scrostati. In lontananza si vede un gruppo di ragazzini di carnagione scura che giocano a palla.

Tzigani? domando io. Incapaci di rispondere all'interrogativo, decidiamo di inoltrarci lungo la stradina. Giunti in prossimità dei primi caseggiati iniziamo a sentire rumore di passi alle nostre spalle e frasi in magiaro. Su suggerimento dei miei compagni ungheresi continuiamo a camminare a passo normale parlando solo inglese. Man mano che avanziamo il numero degli inseguitori si fa sempre più numeroso fino a quando una donna urla qualcosa in modo concitato e capiamo che il gruppo dietro di noi si è fermato. Raggiungiamo risollevati il bivio che ci ricongiunge alla strada principale mentre Laci mi spiega l'accaduto: siamo probabilmente finiti della parte zingara (in Ungheria sono principalmente stanziali) del villaggio e gli uomini del posto hanno percepito la nostra camminata come un'invasione del loro territorio. Per questo motivo hanno gridato una serie di insulti domandando perchè non li salutassimo. Una donna, dotata di un gran buon senso devo dire, ha però urlato di smettere di infastidire i turisti stranieri e cosí siamo riusciti a passare senza problemi.

Il Gulash, piatto tipico unghereseIl Gulash, piatto tipico ungherese

Sulla strada del ritorno domando altre informazioni sulle popolazioni zingare presenti in Ungheria. L'idea di Laci è ben chiara e non diversa da quella di molti italiani: gli zingari sono solo un problema. Non studiano (aveva un compagno di classe rom), non si integrano (mi cita uno studio finlandese al riguardo) e fanno solo danni (come rubare i tombini dalle strade per rivenderli). Domando allora se esistono, come da noi, partiti che sfruttano la paura della gente per guadagnare voti promettendo repressioni e pene più severe. Scopro che questo non è possibile prima di tutto per via delle normative europee, che prevedono fondi per la protezione delle minoranze etniche. Questi sarebbero immediatamente revocati nel caso in cui qualche partito xenofobo guadagnasse potere. Inoltre, secondo Laci, i politici corteggiano gli zingari, dato che in Ungheria sono circa un milione (10% della popolazione) ed è facilissimo avere il loro voto in cambio di qualche regalo. Csabi, invece, la pensa in maniera meno drastica ma non nega comunque l'esistenza di seri problemi con queste popolazioni.

Giunti a casa raccontiamo la nostra piccola avventura e scopro così che incidenti simili sono abbastanza frequenti. Il padre mi racconta un aneddoto riguardante il ponte che collega le due sponde di un piccolo fiumiciattolo che scorre attraverso il paese. Inizialmente era stato costruito in legno ma, dopo due giorni, le assi che lo componevano vennero misteriosamente rubate. Si fece allora un altro ponte sempre in legno e anche questo durò ben poco. Infine si decise di costruirne uno in ferro battuto che resiste tutt'oggi. Scopro anche che la popolazione zingara del paese conta circa 300 persone (circa il 25%) e ha una serie di tradizioni particolari, specie per quanto riguarda il culto dei morti, che Berni trova davvero affascinanti. É ormai ora di pranzo e in breve, intontiti dall'ottimo gulash e da due Jägermeister (uno prima del pasto e uno dopo), la discussione scivola verso discorsi meno impegnati.

Oltre ai cinghiali nella regione di Sopronsi possono trovare lepri e alci.Oltre ai cinghiali nella regione di Sopron
si possono trovare lepri e alci.

I preparativi per la festa degli studenti Erasmus hanno inizio nel pomeriggio: Lívia, Berni e la madre di quest'ultima si alternano ai fornelli sfornando pietanze sempre più appetitose, mentre i maschi si occupano di apparecchiare la tavola e accendere il fuoco per la grigliata. Qualche ora dopo cechi, italiani, croati, serbi ma soprattutto ungheresi siedono di nuovo allo stesso tavolo mangiando, bevendo e cantando in molte lingue diverse. Per qualche istante, complice forse anche l'ottima birra ungherese, questi idiomi sembrano fondersi in un'unica poderosa voce che travalica le frontiere, supera le differenze culturali e abbatte i luoghi comuni, innalzandosi nel cielo stellato e indifferente.

Il giorno successivo, che comincia verso le due del pomeriggio, si trascina pigro tra succulenti pranzi, dell'ottimo vino e qualche partita a scacchi. Alcuni amici partono e la casa si svuota lentamente. Nel pomeriggio, uno zingaro di dieci anni prova a rubare la moto del fratello di Berni, parcheggiata sotto casa. Quest'ultimo, reagendo in maniera energica al tentativo di furto, ha ferito il bambino con un pugno. É scattata immediatamente la denuncia e il giovane dovrà recarsi l'indomani nella città vicina per rispondere delle accuse di aggressione. Gli zingari non si presenteranno per ben due volte all'udienza e quindi, fortunatamente, non ci saranno conseguenze penali.

Moszkva tèr, importante punto di interscambio delle linee tranviarie di BudapestMoszkva tèr, importante punto di interscambio delle linee tranviarie di Budapest

La sera veniamo invitati a una battuta di caccia che si rivela purtroppo deludente. Probabilmente a causa dell'elevato numero di partecipanti, gli animali non si fanno vedere. La mattina dopo però scopriamo che gli altri cacciatori, rimasti in piedi fino alle sei, sono riusciti a catturare un cinghiale gigantesco. Osservo affascinato il rispetto con cui viene trattata la preda e la meticolosità con cui si utilizza ogni sua parte per preparare il pranzo d'addio. Il pomeriggio parto con la corriera in direzione di Sopron da cui proseguirò poi per la capitale magiara. Alla stazione ho qualche difficoltà a comprare il biglietto perchè allo sportello parlano solo ungherese. Intendendoci a gesti riesco a salire sul treno appena in tempo. Dopo tre ore di viaggio giungo alla Stazione Est (Budapest Keleti Pályaudvar) dove trovo Lívia, che mi ha gentilmente offerto ospitalità per tre notti, ad attendermi.

Il Castello di Vajdahunyad Il Castello di Vajdahunyad

Con l'efficentissima metro giungiamo in pochi minuti al suo appartamento nei pressi di Deák Ferenc tér, stazione di raccordo delle tre metro cittadine situata sulla sponda di Pest. Dopo un pranzo a base di sushi (di cui lei è molto ghiotta) mi fornisce tutte le indicazioni su come muovermi nella città. Essendo davvero impegnata con gli studi e il lavoro non avrà molto tempo per accompagnarmi a fare il turista. Per fortuna riesco a mettermi in contatto con Péter e mi incontro con lui diverse volte. Mi propone un itinerario classico (Budai Vàr, il castello di Buda con splendida vista sulla città, Hosök tere, la piazza degli eroi, Vajdahunyad vàra, il castello del parco cittadino), inframezzato da mete meno tradizionali, come ad esempio il primo McDonald's del blocco sovietico (edificato nel 1988) o Moszkva tèr, l'immensa piazza che funge da collegamento tra molte delle linee tranviarie della città. La sera andiamo al Csempe (letteralmente piastrella, dal tipo di arredamento della sala principale), un "pub socialista" assolutamente al di fuori del circuito turistico, e per questo motivo davvero autentico. Cosa non meno importante, una birra grande costa 50 centesimi.

L'alfabeto runico unghereseL'alfabeto runico ungherese

Osservando la città di Budapest, non posso fare a meno di notare i continui rimandi antiaustriaci e antisovietici dei monumenti, che sottolineano ancora una volta il forte attaccamento degli ungheresi alla loro nazione, alla loro storia ma anche alla loro lingua, considerata spesso una delle più difficili del mondo. L'ungherese ha infatti un alfabeto di 44 lettere, di cui 14 sono vocali. Questo elevato numero di caratteri proviene dall'adozione e successiva modificazione dell'alfabeto latino, avvenuta intorno all'anno 1000 durante il regno di Stefano I, che portò al lento abbandono degli antichi caratteri runici ungheresi. Dev'essere davvero fastidioso per i magiari sentire storpiati questi suoni, infatti, a differenza di cechi e slovacchi, non mostrano un particolare entusiasmo quando provo a balbettare qualche parola nella loro lingua e raramente mi incoraggiano a farlo.

Il Parlamento UnghereseIl Parlamento Ungherese, inaugurato nel 1896 in occasione
del millesimo anniversario della nascita dell'Ungheria

Lívia riesce a trovare un po' di tempo per organizzare e accompagnarmi in una visita guidata nel bellissimo Parlamento Ungherese (Országház). Difficile descrivere a parole la magnificenza delle facciate, la perfezione delle statue raffiguranti gli eroi ungheresi e le immense scalinate che compongono il più grande edificio del paese. Le sale sono gigantesche, le decorazioni ricchissime e si sprecano gli aneddoti al riguardo. Qui, a partire dal 1° Gennaio del 2000, è anche custodita la Corona di Santo Stefano (Magyar Szent Korona) con cui venivano incoronati i sovrani di Ungheria.

Proseguiamo il giro visitando Mátyás-templom, una delle più antiche e amate chiese ungheresi. Il valore storico di questa chiesa è notevole dato che è stata luogo del cosiddettoMiracolo di Maria: la città di Buda era stata conquistata dagli Ottomani che avevano trasformato le chiese principali in moschee. In seguito all'assedio della città (1686) da parte della Lega Santa, uno dei muri della chiesa cedette, rivelando, agli occhi degli attoniti musulmani riuniti in preghiera, una statua votiva dedicata alla Madonna. Pare che questo evento scosse parecchio il morale della guarnigione che si arrese quello stesso giorno.

La Corona di Santo StefanoLa Corona di Santo Stefano

Ciò che più mi colpisce è la presenza di bandiere magiare all'interno dell'edificio che sembra sottolineare il forte legame presente nel paese tra elementi nazionalistici e religiosi. Quasi stupita dai miei interrogativi al riguardo, la guida mi spiega che il vescovo, su ordine del Vaticano, ne ha chiesto la rimozione. Nel negozio di souvenir, dove vorrei comprare una bandiera ungherese, scambio qualche parola con il proprietario. Sono impressionato dal suo perfetto italiano e scopro così che conosce ben sette lingue tra cui il russo e l'arabo. Mi racconta della sua vita, di quella che lui percepisce come la decadenza della cultura italiana e del drastico calo del livello intellettuale dei turisti. Un po' depresso ma rinfrancato da uno sconto di 1500 Forint (circa 5€) sulla bandiera, riprendiamo la strada di casa

L'ultimo giorno a Budapest, su suggerimento di Lívia, lo passo a Margit-sziget, un'isoletta del Danubio di circa un chilometro quadrato situata tra i ponti Margit híd e Árpád híd. Un posto davvero suggestivo, soprattutto per il bellissimo parco di cui è sede che contiene tra l'altro una splendida fontana e il monumento celebrativo dell'unione delle vecchie città di Buda, Óbuda e Pest avvenuta il 17 Novembre 1873.

Il Parco di Margit-szigetIl Parco di Margit-sziget

Parto nel pomeriggio, con un bus della Student Agency diretto a Praga, dalla stazione di Üllői út. Il ricordo delle avventure degli ultimi giorni, dei simpaticissimi amici conosciuti e dei fantastici posti visitati, si affollanonella mia memoria mentre, cullato dal lento sobbalzare del bus, mi addormento dolcemente.