Creuza de mä (1983)

Creuza de mä

Fabrizio De Andrè

Creuza de mä da Creuza de mä, Fabrizio De Andrè
Creuza de mä
Testo
Umbre de muri muri de mainé
dunde ne vegnì duve l'è ch'ané
da 'n scitu duve a l'ûn-a a se mustra nûa
e a neutte a n'à puntou u cutellu ä gua
e a muntä l'àse gh'é restou Diu
u Diàu l'é in çë e u s'è gh'è faetu u nìu
ne sciurtìmmu da u mä pe sciugà e osse da u Dria
e a funtan-a di cumbi 'nta cä de pria

E 'nt'a cä de pria chi ghe saià
int'à cä du Dria che u nu l'è mainà
gente de Lûgan facce da mandillä
qui che du luassu preferiscian l'ä
figge de famiggia udù de bun
che ti peu ammiàle senza u gundun

E a 'ste panse veue cose ghe daià
cose da beive, cose da mangiä
frittûa de pigneu giancu de Purtufin
çervelle de bae 'nt'u meximu vin
lasagne da fiddià ai quattru tucchi
paciûgu in aegruduse de lévre de cuppi

E 'nt'a barca du vin ghe naveghiemu 'nsc'i scheuggi
emigranti du rìe cu'i cioi 'nt'i euggi
finché u matin crescià da puéilu rechéugge
frè di ganeuffeni e dè figge
bacan d'a corda marsa d'aegua e de sä
che a ne liga e a ne porta 'nte 'na creuza de mä
Mulattiera di Mare
Traduzione
Ombre di facce facce di marinai
da dove venite dov'è che andate
da un posto dove la luna si mostra nuda
e la notte ci ha puntato il coltello alla gola
e a montare l'asino c'è rimasto Dio
il Diavolo è in cielo e ci si è fatto il nido
usciamo dal mare per asciugare le ossa dall'Andrea
alla fontana dei colombi nella casa di pietra

E nella casa di pietra chi ci sarà
nella casa dell'Andrea che non è marinaio
gente di Lugano facce da tagliaborse
quelli che della spigola preferiscono l'ala
ragazze di famiglia, odore di buono
che puoi guardarle senza preservativo

E a queste pance vuote cosa gli darà
cose da bere, cose da mangiare
frittura di pesciolini, bianco di Portofino
cervelli di agnello nello stesso vino
lasagne da tagliare ai quattro sughi
pasticcio in agrodolce di gatto

E nella barca del vino ci navigheremo sugli scogli
emigranti della risata con i chiodi negli occhi
finché il mattino crescerà da poterlo raccogliere
fratello dei garofani e delle ragazze
padrone della corda marcia d'acqua e di sale
che ci lega e ci porta in una mulattiera di mare
Creuza de mä
note e significato
Creuza
impropriamente tradotto mulattiera, viene in realtà usato, in dialetto genovese, per indicare una strada suburbana che scorre fra due muri che determinano i confini di proprietà.
Dall'Andrea
Si allude a una locanda che offre rifugio ai marinai tornati dalla pesca. Nello specifico, De André si riferisce a una vero locale della Genova Vecchia, chiamato appunto Du Dria ("Dall'Andrea"). Grazie a Giorgio Diana per la precisazione, per ulteriori informazioni potete leggere i commenti alla fine della pagina.
Creuza de mä
tablatura e accordi
Re               Sol   Re
Umbre de muri muri de mainé
  Re                La  Re
dunde ne vegnì duve l'è ch'ané
  Re               Sol   Re
da 'n scitu duve a l'ûn-a a se mustra nûa
  Re                La  Re
e a neutte a n'à puntou u cutellu ä gua
  Re               Sol   Re
e a muntä l'àse gh'é restou Diu
  Re                La  Re
u Diàu l'é in çë e u s'è gh'è faetu u nìu
  Re               Sol   Re
ne sciurtìmmu da u mä pe sciugà e osse da u Dria
  Re                La  Re
e a funtan-a di cumbi 'nta cä de pria

  Sol    Re La Sol Re La Sol  Re
E andae, andae, anda ayo;
  Sol       Re La Sol Re La Sol  Re
e andae, andae, anda ayo.

  Re               Sol   Re
E 'nt'a cä de pria chi ghe saià
  Re                La  Re
int'à cä du Dria che u nu l'è mainà
  Re               Sol   Re
gente de Lûgan facce da mandillä
  Re                La  Re
qui che du luassu preferiscian l'ä
  Re               Sol   Re
figge de famiggia udù de bun
  Re                La  Re
che ti peu ammiàle senza u gundun

  Sol    Re La Sol Re La Sol  Re
E andae, andae, anda ayo;
  Sol       Re La Sol Re La Sol  Re
e andae, andae,  anda ayo.

  Re               Sol   Re
E a 'ste panse veue cose ghe daià
  Re                La  Re
cose da beive, cose da mangiä
  Re               Sol   Re
frittûa de pigneu giancu de Purtufin
  Re                La  Re
çervelle de bae 'nt'u meximu vin
  Re               Sol   Re
lasagne da fiddià ai quattru tucchi
  Re                La  Re
paciûgu in aegruduse de lévre de cuppi

  Sol    Re La Sol Re La Sol  Re
E andae, andae, anda ayo;
  Sol       Re La Sol Re La Sol  Re
e andae, andae,  anda ayo.

  Re               Sol   Re
E 'nt'a barca du vin ghe naveghiemu 'nsc'i scheuggi
  Re                La  Re
emigranti du rìe cu'i cioi 'nt'i euggi
  Re               Sol   Re
finché u matin crescià da puéilu rechéugge
  Re                La  Re
frè di ganeuffeni e dè figge
  Re               Sol   Re
bacan d'a corda marsa d'aegua e de sä
  Re                La  Re
che a ne liga e a ne porta 'nte 'na creuza de mä

55 risposte a “Creuza de mä”

    1. Scusa, ma su cosa ti basi per dire questo? La traduzione riportata è quella del disco e Dria è maiuscolo, quindi chiaramente nome proprio.

    2. Non ”dell’Andrea” ma ”dall’Andrea” come si puo’ facilmente intuire per un marinaio non c’è niente di meglio che un buon bicchiere di vino in compagnia per ”asciugarsi le ossa” alla vecchia locanda di Andrea,appunto.

    3. Andrea era una taberna (che esiste ancora oggi, si trova in Piazza della Chiesa dell’Acquasanta, da Sottoripa!) in cui i marinai si ritrovavano 🙂

      1. Stiamo facendo confusione. L’osteria da u Dria che dici è molto conosciuta però non si trova affatto a Sottoripa ma presso il Santuario dell’Acquasanta, in comune di Mele, nell’entroterra di Voltri e a diversi km dal mare. Improbabile che i marinai sbarcati al porto di Genova si facessero tutti questa strada (in treno?) per rifocillarsi.

  1. La traduzione di “pe sciugà e osse da u Dria” è “per asciugare le ossa dall’Andrea” (inteso come osteria o taverna “Da Andrea”), e non “dell’Andrea” .

  2. Il termine dialettale “u Dria” sta per “l’Andrea”
    Nel testo della Canzone viene letteralmente tradotto : “noi usciamo dal mare per andare ad asciugarci le ossa dall’Andrea” ovvero andare a toglierci da dosso l’umidità che abbiamo preso in mare.
    Cioè andare a rifocillarsi nella trattoria di Andrea.
    A Genova tantissime trattorie (ma anche ristoranti blasonati), infatti, prendono il nome del gestore e lo conservano nel tempo anche se cambia il gestore per ovvi motivi commerciali.
    Alcuni locali a titolo di esempio:
    – Da Carmelo , Sant’Ilario;
    – Checco du Dria – (Francesco di Andrea), per specificare che si tratta di attività intrapresa dal figlio della nota trattoria “U Dria”;
    – Ristorante Da Rina, centro Storico di Genova;
    – Trattoria Ugo , centro Storico di Genova;
    – Trattoria da Emma, etcc

  3. Mi ha affascinato questo brano scoperto da me tardi ma meglio tardi che mai..beh Faber mi sempre affascinato. .peccato fumasse troppo..sarebbe potuto essere ancora con noi a farci sognare..grazie Faber..

  4. La “creuza” è una qualunque strada che “incrocia” quella principale. Non ha niente a che vedere con la spiegazione data, e non sempre si tratta di stretti viottoli. A Sampierdarena, per esempio, Via Palazzo della Fortezza era conosciuta come “creuza larga” e un’ altra strada che u niva Piazza Barabino con Via Pietro Chiesa era detta “creuza di boe”.

    1. Ciao Enzo e grazie del tuo intervento. La spiegazione data è presa dall’album e riflette pertanto l’interpretazione di De André della parola Creuza.

    2. Non sono genovese, però ho sposato una genovese e la sua famiglia vive tuttora a Genova, in una strada che si affaccia appunto su una creuza, nel quartiere di Borgoratti, quindi abbastanza in centro.

      Da quello che ho sempre sentito dire dai genovesi, una creuza è una strada in discesa, quasi sempre a gradini, con i muri di confine con le proprietà a fianco. Quando parlano italiano e non dialetto, la chiamano anche “crosa”.

      Quello che dice Enzo non lo sapevo, ho imparato qualcosa su una città che conosco e amo ormai da trent’anni, da cui mi sento “adottato”, ma che non è la mia città di origine.

  5. Secondo me i “mandilla” erano persone che venivano dalla Svizzera, Lugano appunto, intesi come gente di montagna, che, arrivati in Liguria per vendere fazzoletti o altre stoffe, al momento del pranzo, non conoscendo affatto i pesci, chiedevano l'”ala” del branzino pensando fosse un pollo.

    1. Non sono genovese ma ho passato l’infanzia con una zia di Santa Margherita. Ricordo bene la parola “mandillà” per indicare un poco di buono, un imbroglione, un tagliagole. Faccia di mandillà per indicare uno con cattive intenzioni. È una delle parole in genovese che mi sono rimaste più impresse, perché me lo ripeteva di continuo per farmi stare bravo.

  6. i versi non hanno punteggiatura e, in ogni modo, non riesco a trovare un significato intelligibile. Potreste fornire una traduzione, anche non letterale, che faccia comprendere il significato ( mi è oscuro cosa voglia direa d es. “guardare le ragazze di famiglia senza preservativo”)?. L’ultima strofa mi è assolutamente oscura.
    Grazie

    1. Per dirla in due parole: racconta di marinai che tornano in città dopo essere stati fuori, vanno a mangiare in un’osteria locale (“da Andrea”) guardano la gente attorno con l’aria di dire “ecco, gente di città o addirittura che viene da fuori, gente di terra, gente che non capisce, che mangia il pollo e l’agnello e non la spigola, e che si fa rifilare il gatto pensando che sia coniglio”). Dall’Andrea bevono, si ubriacano ma non troppo….Alla fine però sono loro a sentirsi un po’ estranei sulla terraferma, e c’è il mare cui appartengono che li chiama per ripartire il giorno dopo

      Quanto a quel verso specifico, significa guardare le ragazze di buona famiglia senza farsi tante illusioni di poterci “combinare ” qualcosa: per cui puoi guardarle, ma il preservativo non ti serve. Odore di buono credo si riferisca al fatto che odorano realmente e metaforicamente, della loro origine borghese: profumate e di buona famiglia.

  7. Qui si dimostra che non è mai la lingua che fa la differenza , ma l’ uso che di una lingua, qualunque essa sia, a grande diffusione o tipicamente e strettamente locale, è in grado di fare un genio, un artista , un poeta. Qui si tratta di una lingua minoritaria proiettata , per via del contenuto espresso e del modo con cui viene espresso, al di là dello spazio e del tempo, nell’ eternità della poesia.

  8. Come fai a sapere che qui hai a che fare con una poesia vera, l’opera di un artista ? Prendiamo questi due versi che qualcuno ha tradotto dal genovese in italiano in questo modo:
    “ragazze di famiglia, odore di buono,
    che puoi guardarle senza preservativo” e confrontiamolo con l’ originale in lingua genovese.
    Qui siamo all’ interno dell’ osteria quindi tutto è da leggere in chiave ironica, ma con la comprensione e quasi compartecipazione del poeta. Andiamo a vedere bene: le ragazze di famiglia possono essere sì di “buona famiglia” come provenienza, ma dentro l’ osteria diventano ragazze “familiari”, e l’ odore di buono che segue, quasi non sai se è dovuto al buon odore che proviene dalla cucina oppure al profumo che quelle ragazze si sono messe addosso , oppure all’ odore che emana dal loro corpo “al naturale” ( anche quello può essere considerato “buono” , se è vero come è vero che Napoleone Buonaparte quando doveva andare ad un incontro con la sua amata mandava in avanscoperta un messo a preannunciare il suo arrivo che, per tacita intesa, conteneva nascosto l’invito a che lei che non si lavasse perchè il Nostro voleva sentire da vicino i suo “udu de bon”. Del resto il verso che segue specifica bene, anche se in maniera delicata il fatto che quelle figlie di famiglia sono delle prostitute che esercitano con discrezione eventualmente all’interno del locale e acconsentono ai clienti ad avere rapporti senza fare uso del preservativo. Il contenuto del testo è inequivocabile , ma è il modo con cui vengono espresse od omesse le “circostanze” e si cerca con ironia di nascondere il tutto attraverso un uso appropriato ed addomesticato delle parole che trasformano quel testo in poesia immortale .

  9. Ritorniamo su questo verso:
    “che puoi guardarle senza preservativo”. Il verso si può togliere dal suo “guscio” e togliere dall’ ambiguità e dall’ oscuro in cui si nasconde anche in questo modo: “tu puoi solo guardarle senza prewservativo”, sì ma se le vuoi avvicinare, sottinteso , se vuoi avere rapporti con loro il preservativo lo devi indossare eccome, e ritorniamo comunque nell’ interpretazione che era stata data al verso nel commento precedente, pur facendo finta di non aver capito nulla e che il verso, per qualcuno fosse dal contenuto oscuro e incomprensibile. Comunque di poesia vera si tratta , musicata e cantata.

  10. Il testo originale, poi censurato per quieto vivere prima della registrazione, leggeva:
    … che ti peu beciale sensa u gundun…
    Così cantato (e spiegato) più volte in concerto

  11. Cerchiamo di fornire una interpretazione plausibile anche agli ultimi sei versi della poesia [pardon della poesia cantata]. Quando si commenta il testo di una poesia, facendo uso di perifrasi, è sempre difficile dare una interpretazione corretta ed esaustiva perchè il poeta a volte come in questo caso procede come su di un quadro dipinto con pennellate a volte veloci, a volte approssimative , a volte enigmatiche nell’ associazione intrinseca e sottintesa di elementi diversi. Si tratta di interpretare il testo, il contesto e leggere tra le righe con un solo colpo d’occhio. Facciamo riferimento al testo in lingua originale: sulla barca del vino, cioè a fine pasto, dopo aver abbondantemente bevuto , e quindi un po’ in preda ai fumi dell’ alcool, navigheremo sugli scogli con la fantasia [forse], ma nella realtà quegli scogli rappresentano plasticamente la difficoltà a reggersi in piedi con sicurezza per via dell’ ubriacatura che porta con sè la sua sequela di risate in compagnia e gli occhi “inchiodati” per via della sonnolenza che ne consegue e tenendo conto che durante la notte anche il sonno reclamerebbe la sua parte. Comunque questa storia procede fino al mattino quando il sole salendo da oriente sarà tanto alto da poterlo raccogliere : il sole che sale è paragonato in forma sottintesa a una spiga di grano che sale dal terreno e ad un certo punto il sole ed il grano sono tanto alti da potersi raccogliere, la stessa cosa vale per i garofani richiamati nel verso successivo in forma esplicita assieme alle “figlie” di cui si è parlato precedentemente: queste ultime sono anche esse da raccogliere [ma in quell’ altro senso] quando siano giunte a maturazione e siano pertanto cresciute come il sole al mattino e il grano e i garofani Ma con il mattino [cresciuto tanto da potersi raccogliere] i pescatori devono ritornare al loro lavoro quotidiano qui richiamato con una pennellata rapida dal rumore sordo [ il baccano] delle corde che si utilizzano per la pesca, umide ed intrise di sale, quando vengono maneggiate e tirate con forza dalle braccia dei pescatori : e qui il ciclo della vita riprende per ritornare poi con il richiamo al titolo, a ripetere ogni giorno lo stesso ciclo.
    [ il ciclo della vita di ogni giorno alla “creuza de ma”]. Sì , forse questa interpretazione potrebbe essere plausibile, sì potrebbe anche andare bene………..

  12. Chi ha scritto l’ ultimo commento precedente a questo, a mio avviso ha peccato un po’ di presunzione, dando per scontato di aver fatto tutto bene e quindi “tutto a posto”: ma non è così. Chi scrive il presente commento non è un teen-ager, ma un vecchietto di ben 72 anni e quindi cammina più lentamente dei giovani nel cercare di capire che cosa succede e alla fine si accorge [ un po’ in ritardo a dire il vero] che quando ci si avvicina ad un testo come quello di F. de André lo si deve fare togliendosi il cappello come ci si toglie il cappello davanti ad una qualunque terzina che entri a far parte dei 14233 versi che compongono la Divina Commedia di Dante Alighieri e se non possimamo renderci conto immediatamente di quanto sia vera questa affermazione con il testo in genovese di questa canzone, lo possiamo fare più facilmente con il testo di un’altra canzone , questa volta in lingua italiana fi F. de Andrè, dico a caso ” Fiume Sand Creek”. Tutto questo prembolo per dire che nel commento al testo di “Creuza de ma” qualcosa alla fine mi è sfuggito: la parola “bacan ” si deve legare indissolubilmete al mattino [cresciuto] e a quello consegue ed a quello [mattino] si sostituisce quindi con il riprendere dell’ attività dei pescatori che devono ripartire al lavoro dopo aver recuperato “rumorosamente” gli arnesi del mestiere. “Fermo” e quindi valido tutto il resto del commento.

    1. Forse il testo degli ultimi due versi è stato interpretato erroneamente anche se il richiamo al mattino rende il commento “addomesticato” alla comprensione ; ma se la traduzione di “bacan” non è “baccano” nel senso di “rumore” , ma “padrone” , come penso il traduttore abbia tradotto ed interpretato correttamente , ecco che allora il sostantivo “padrone” è più facilmente collegabile al “mattino” ed il testo fila liscio, senza fare i salti mortali per collegarlo a quello [mattino], come è stato fatto nel commento precedente .

  13. Con il permesso di Fabio che è il “tenutario” del sito dopo tanto tempo che più nessuno è intervenuto nei commenti vorrei ritornare su alcuni aspetti della poesia che forse non sono stati sviscerati fino in fondo : intanto il titolo
    ” Creuza de ma”.
    La parola “creuza” con un po’ di presunzione da parte mia, porta con se’ un riferimento alla “profondità” . in piemontese ad esempio” un pozzo profondo” si dice ” un poss creus ” o anche localmente “un poss en-creus”. Forse l’etimologia di questa parola deriva dalla lingua francese: i francesi per lungo tempo hanno spadroneggiato nel nord ovest dell’ Italia e quindi noi abbiamo importato molte parole dalla lingua francese. La Creuse è un dipartimento della Francia , esattamente il più centrale rispetto alla cartina geografica della Francia , quasi grosso modo equidistante dai lati e dagli angoli de “L’ exagone” , “l’ esagono” come i francesi chiamano familiarmente la Francia a causa della forma che assume sulla carta geografica, che assomiglia vagamente ad un esagono. Ma la Creuse, che è al centro, se pensassimo la Francia come una sola grande città, la sua posizione sarebbe paragonabile alla “Down-town” del mondo anglosassone : ” il centro città”, e non “la città bassa” come sembrerebbe doversi tradurre in modo letterale. Qui “La Creuse” è nella Francia profonda , quasi un polo di inaccessibilità del territorio francese da qualunque parte si arrivi : e pertanto è nella Francia “profonda”. Questa “Creuza” della poesia porta con sè a mio avviso, da un punto di vista etimologico, un riferimento a questo significato di “profondità” cioè verso il “centro del quartiere” o della città “vecchia” dove si troverebbe la locanda “dell’ Andrea” rispetto al mare. Non so se ci sia una forzatura in questa mia interpretazione : se qualcuno volesse intervenire al riguardo non mi dispiacerebbe .
    Passiamo ora all’ esame del testo della prima parte della poesia : qui ciò che mi impressiona ogni volta che leggo il testo é quel susseguirsi di domande retoriche , senza punti interrogativi e senza punteggiatura tra la domanda e la risposta; ma questo procedere conferisce al testo una “delicatezza” e quasi “una tenerezza” nell’avvicinarsi al mondo dei pescatori. Quasi domande retoriche che si potrebbero trovare nel testo di una favola per bambini letta e raccontata dalla mamma ai figli piccoli. Questo modo di procedere lungo tutto il testo della prima parte della poesia serve a mettere in evidenza la vicinanza della voce narrante [ il poeta ] al mondo dei pescatori, solo in apparenza marginale e ripetitivo. Di questa “condivisione” sono testimonianza le parole dei pescatori all’ inizio che non sono fatte soltanto di sequenze ” a domanda risponde” ma forniscono anche valutazioni su ciò succede di notte sul mare e nel cielo che sovrasta il mare con riferimento alla Luna , al cielo, al Diavolo e a Dio: questi ultimi, nelle parole dei pescatori sembra abbiano invertito il loro “posizionamento” e i loro ruoli. Poi qualche accenno di pettegolezzo rispetto all’ambiente dell’ osteria
    per il riferimento agli ospiti che vengono da fuori [ da Lugano] con facce poco raccomandabili che oltre tutto non capiscono niente di pesca e di pesci…] Ma poi la cura che mette il poeta nella descrizione della cucina dell’osteria e delle cose preparate con amore e descritte con gli occhi dell’ appetito: non può non venire in mente qui il testo di un’altra famosa poesia di “de Andrè” in lingua genovese : ” A cimma” dove la cuoca nel curare al massimo la preparazione della “cima alla genovese” fa ricorso a scongiuri e a “riti propiziatori” per tenere lontano gli “spiriti del male”, che calandosi dalla cappa del camino, potrebbero venire a turbare e far fallire la buona riuscita della vecchia ricetta della “cima”. Decisamente De Andrè ha un debole per le cose della cucina…. Ma qui è sempre con gli occhi dell’ amore per il mondo dei pescatori che De Andrè fa riferimento e al vino e alle vivande messe a disposizione dall’oste: cose locali, cose genuine, magari povere, ma non certo di dozzina. Quanto poi alla carne ” della lepre dei tetti” , chi l’ha mangiata dice che sia una prelibatezza. Non bisogna certo che questa cosa giunga alle orecchie della B…. [scusate adesso mi sfugge il nome] e pertanto per evitare dispiaceri, viene qui utilizzata una descrizione o meglio una perifrasi di copertura…
    E a questo punto s’innesta il commento alla seconda parte della poesia che nella sequenza …. è passato prima….

  14. Quando dice: ” quelli che ao luasso preferisian l’a;io credo voglia dire : quelli che al branzino preferiscono l’orata

    1. Sì, grazie per la tua domanda, sarebbe molto interessante anche per me…
      Cosa significa “E anda o meu e e anda, O meu e e anda io” (scritto correttamente?)? Non può essere soltanto “lalala”…?! Qualcuno?

  15. Rispetto ai bellissimi commenti di questa pagina, so di essere meno esperto ma vorrei chiedere il giusto significato di …e a muntà l’ase gh’e restou diu, u diau l’è n ce’ e s’e’ ghe faetu u niu. Grazie.

  16. la “creuza de ma”, sono quelle scie che si disegnano sulla superfice del mare, dovute al vento ed alle correnti.

  17. Per tentare una risposta alla domanda di Nino nell’ interpretazione del verso in cui si dice che “a cavalcare l’ asino c’è rimasto Dio e il Diavolo è in cielo e lì ha fatto il nido” potremmo dire che qui la voce di Dio è poco autorevole, non si fa sentire, mentre quella del Demonio sta in alto , in cielo. Secondo un vecchio detto “chi sta in alto , non teme assalto” e il Demonio si è trasferito in cielo al posto di Dio: per i pescatori là è l’ ubicazione e la casa [ il nido ] del Demonio: il padrone dei venti e delle tempeste che si scatenano sul mare mettendo a rischio la vita stessa dei pescatori praticamente ogni giorno. Si tratta di una interpretazione che parla di una inversione dei ruoli tra Dio ed il Demonio. Potremmo dire di una interpretazione popolare della “filosofia cristiana” : per i cristiani il male non ha mai una interpretazione “in positivo” , il male non è qualche cosa di più , qualcosa che si aggiunge, ma è sempre una mancanza di qualche cosa dovuto a una ” natura”. Ad esempio se io ho mal di denti non è che ho qualcosa in più del dovuto, ma mi manca qualcosa, cioè la salute dei denti, che in condizioni normali [bene] non dovrebbero far “male” : cosicchè tutto il male è gestito dal Demonio, il “principe del male” appunto , e non da Dio : ecco a che cosa si potrebbe riferire il linguaggio semplice dei pescatori, nel sottolineare l’ inversione dei ruoli tra Dio ed il Diavolo , che diventa così il vero padrone delle cose “infelici” che caratterizzano il mondo, e in questo caso delle cose brutte e pericolose a cui vanno incontro i pescatori nello svolgimento della loro attività sul mare.

  18. Molto tempo fa ormai Livio e Kat avevano chiesto su questo blog come doveva essere interpretato il testo del ritornello della canzone:

    E anda umè umè e anda umè umè e anda ayò
    E anda umè umè e anda umè umè e anda ayò

    Benchè io non abbia trovato nulla di specifico al riguardo, salvo che da qualche parte esista una spiegazione puntuale riportata dallo stesso De Andrè sul ritornello, il testo può avere a mio avviso diverse interpretazioni :
    una “onomatopeica” vale a dire un espressione che fa il “verso” al rumore delle onde del mare nella risacca che si riversa sulla spiaggia e al frangersi dell’onda sugli scogli, o è riferita al rollìo ed al beccheggio provocato dalle onde del mare sulla barca dei pescatori . Oppure sono da intendersi come voci di richiamo dei pescatori tra loro o parole che esprimono in questo modo dei comandi codificati dall’uso e dal tempo per il sincronismo nella posa a mare delle reti o in fase di ritiro delle stesse, o più in generale un modo “sonoro” per coordinare i movimenti di sforzo nel maneggio delle vele e delle reti, oppure più semplicemente un modo per mettere in evidenza il fluire del tempo che non porta da un giorno all’altro nulla di nuovo nella vita del pescatore . Però non bisogna credere che questo “continuo andare” senza una meta e senza posa tenda a svalutare il mondo e la vita dei pescatori a cui il poeta è affezionato. Se ci fosse qualche dubbio al riguardo ci pensa De Andrè a costruire per i pescatori un monumento imperituro per il quale “ Il pescatore” si trasforma in un gigante pur nella presunta pochezza del mondo a cui egli sembra appartenere . La canzone “Il Pescatore” provvede alla costruzione di questo monumento. Qui il pescatore diventa importante per aver aiutato un assassino di passaggio che “aveva sete” ed “aveva fame” ed egli nel condividere il suo pane ed il suo vino con lui, in quello “spezzare il pane” e “versare il vino” sembra voler richiamare alla mente il testo dell’ “ultima cena” del Vangelo cristiano.
    Ma l’aver condiviso qualcosa della sua vita povera con un assassino di passaggio lo trasforma in un monumento vero quando arrivano sulla spiaggia vicino a lui due gendarmi. Qui De Andrè non li chiama “sbirri”: la parola sbirri costituirebbe un’offesa alla persona che rappresenta l’autorità: no, non “sbirri” , ma due “gendarmi armati” che rappresentano comunque l’autorità costituita, le istituzioni diremmo noi. In quanto gendarmi, essi hanno una loro dignità personale, ma in quanto rappresentanti dell’autorità costituita in cerca di un assassino, il pescatore fa finta di non vederli, non ha nulla dire, nulla da suggerire, nulla da condividere con quelli. Quando i gendarmi lo interrogano se di là fosse passato un assassino: alle domande dei gendarmi non risponde nulla in quanto dorme, o più propriamente potrebbe far finta di dormire , ma per chi ascolta il finale de “Il pescatore”, che aveva fatto il suo dovere di fronte alla sua coscienza, potrebbe anche essere morto in quel “ e aveva un solco lungo il viso, come una specie di sorriso”: questa frase era già passata una volta nella canzone, proprio all’inizio. Al primo richiamo si sveglia, al secondo, non si sveglia …più.

  19. Ritorniamo ancora su ritornello della canzone “Creuza de mä”

    E anda umè umè e anda umè umè e anda ayò
    E anda umè umè e anda umè umè e anda ayò

    Senza la pretesa di scrivere nulla di “originale “ o di definitivo al riguardo, la mia curiosità è stata catturata da quell’ “ayò” del finale a cui in un primo momento non avevo prestato attenzione . Sicuramente l’espressione per sè sola, che è di uso comune nel dialetto Sardo , ma anche Corso, e costituisce quasi un intercalare nella lingua parlata, contiene un invito a “muovere” o a “muoversi” o per meglio dire contiene un comando che significa “Andiamo” o “Muoviamoci” o più brevemente ” Via”, può darsi affondi le sue radici nella memoria che F.de André ha costruito dentro di sé , nel suo “io” più profondo con la sua permanenza in Sardegna, terra a cui si era affezionato fin dal primo momento in cui si venne a trovare sull’isola nel 1968: lì aveva acquistato delle proprietà e dei fondi agricoli e in Sardegna venne sequestrato, come si ricorderà, con la compagna Dori Ghezzi dal 27 agosto al 20 dicembre 1979 nella località di Tempio Pausania [diverse sue canzoni sono legate a questa sua drammatica avventura] Sta di fatto che, per quanto si riferisce a questo passaggio del ritornello, contenente “ayò”, è possibile sia stato acquisito direttamente in Sardegna, o tutto il ritornello possa far riferimento o contenga un richiamo alla lingua sarda in tutto o in parte; oppure esso appartenga anche al mondo dei pescatori liguri e genevosi. In altri termini lo stesso“ayò” possa essere stato traslato misteriosamente nel tempo dal Sardo/Corso al Genovese e venga utilizzato, come al solito, nel suo significato più abituale di coordinamento di movimenti durante alcune fasi della pesca e da intendersi come “comando” per lo svolgimento di azioni “simultanee” tra più persone . Per capire meglio il significato di “Ajò” riporto di seguito l’indirizzo di youtube in cui viene cantato l’inno della “brigata Sassari” [ registrato da un programma del TG1] con il testo completo riportato in sottotilo, tradotto dall’ originale in lingua sarda , dove si può vedere anche “plasticamente” il significato di Ajò qui scritto nel finale dell’ inno con il sottotilo di “ajoh” [ Andiamo ! ] nel contesto di una marcia militare.

    https://www.youtube.com/watch?v=aR1uPuHOxXw

  20. Non sarei certo che si tratti di pescatori, coloro che vengono descritti, nella canzone, ma di marinai. I comportamenti riportati nel testo della canzone, sono quelli di una ciurma, non già di poveri pescatori…
    De Andrè non parlava certo un buon genovese. Parlava il genovese fi chi lo ha appreso successivamente all’ infanzia, poiché nella sua famiglia evidentemente non era parlato…
    Quindi mi sorge un dubbio sulla traduzione ” . . Migranti du rie” che non significa nulla. Mi viene da pensare che De Andrè intendesse dire ” .. E cui grampi da u rie..” cioè “. . Coi crampi provocati dal gran ridere..” che invece, avrebbe un senso ….

  21. Fa piacere comunque che questa canzone specifica, per la quale molte persone proprio qui, su questo blog, hanno voluto lasciare un loro commento , intuendone forse anche inconsciamente la bellezza , la grandezza e l’originalità distintiva della poesia che essa contiene , sia stata assunta d’autorità come “portabandiera” per l’inaugurazione del nuovo ponte di Genova.
    Riporto di seguito quello che è stato scritto da organi di stampa al riguardo :

    “Crêuza de mä” ricantata da Mina e Vasco per l’inaugurazione del Ponte San Giorgio. Quando De André nel 1984 disse: “Non venderà un ca**o”
    “Crêuza de mä” ricantata da Mina e Vasco per l’inaugurazione del Ponte San Giorgio. Quando De André nel 1984 disse: “Non venderà un ca**o”.
    Uno dei brani più importanti della carriera di Fabrizio De André è stato scelto per l’inaugurazione del nuovo ponte San Giorgio, che è nato dalle ceneri del ponte Morandi, crollato il 14 agosto 2018. La moglie dell’artista, Dori Ghezzi, e il maestro Mauro Pagani – che ha collaborato nel lontano 1984 alla realizzazione dell’album omonimo – hanno chiamato a raccolta per la versione 2020 della canzone molti artisti della musica italiana da Mina a Vasco, passando per Ornella Vanoni e Gianna Nannini. Il brano sarà in vendita in digitale dal 4 agosto 2020

    Il mondo della musica italiana si è mobilitato, in occasione dell’inaugurazione del viadotto “Genova – San Giorgio”, costruito sulle macerie del ponte Morandi, crollato nel 2018. Come canzone “simbolo” per questa importante rinascita per la città e, un po’ anche per tutta Italia, è stata scelta “Crêuza de mä”. È uno dei brani più importanti del repertorio di Fabrizio De André, il più idoneo per rendere omaggio non solo all’artista, ma anche a Genova e al Comitato dei parenti delle vittime del ponte Morandi. La canzone, dopo che sarà trasmessa, in diretta e in anteprima, durante l’inaugurazione, dal 4 agosto 2020 sarà disponibile su tutte le piattaforme digitali.

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